L’importanza della condivisione e del riuso dei dati nell’ambito della smart city

di Sveva Ianese

L’espressione “smart city” è stata nel tempo utilizzata per definire fenomeni diversi di innovazione e riprogettazione urbana (citiamo, a titolo di esempio, le cosiddette smart-from-the-start cities, le retrofitted smart cities e le social cities ). Si tratta di un concetto polivalente e multisfaccettato i cui connotati appaiono tuttora, in parte, ambigui anche a causa della mancanza di una definizione legislativa largamente condivisa.


Secondo la Commissione Europea, la smart city è definibile come “un luogo in cui i networks e i servizi tradizionali sono resi più efficienti grazie all’uso di soluzioni digitali a beneficio degli abitanti e delle imprese che lo abitano”.


Una simile teorizzazione impone di considerare la città intelligente a partire dall’utilizzo efficiente delle risorse naturali ed economiche a disposizione, dall’erogazione di servizi urbani adattivi ed efficaci, dall’introduzione di nuove modalità di interazione tra cittadino e Pubblica Amministrazione e dalla possibilità di soddisfare le esigenze di una popolazione che invecchia.


Nella prospettiva della Commissione Europea, dunque, l’applicazione di tecnologie innovative (es. intelligenza artificiale, dispositivi IoT, 5G) all’interno dei confini urbani appare funzionale al raggiungimento di obiettivi strettamente collegati al miglioramento della qualità della vita dei cittadini.


Seguendo questa definizione, il ruolo delle nuove tecnologie si presenta come imprescindibile ma servente, in quanto teleologicamente orientato al perseguimento di fini più “alti”.


Una seconda interpretazione scompone il concetto di smart city in sei diverse sub-componenti, le quali costituiscono oggi le principali linee direttrici di sviluppo di vari progetti di rigenerazione territoriale. Tali elementi sono:
– smart economy;
– smart mobility;
– smart environment;
– smart people;
– smart life;
– smart governance.


Seguendo questa prospettiva, l’aspetto caratterizzante il concetto di smart city pare essere la dimensione della “smartness”, declinata nelle sue diverse sub-componenti.


Entrambe queste definizioni pongono l’accento sulla presenza di una “doppia anima” all’interno delle città intelligenti: quella tecnologica e quella dello sviluppo innovativo del territorio.


Entrambe queste dimensioni (la dimensione tecnologica e quella della smartness) presuppongono l’utilizzo e la condivisione delle informazioni all’interno dei confini della città, come subito spiegherò.


Partiamo dalla prima.


Con il termine “dimensione tecnologica della smart city” ci riferiamo a due diversi aspetti: (i) le soluzioni hardware/software utilizzate all’interno o in funzione di uno spazio urbano e (ii) le informazioni che sono raccolte o processate da tali dispositivi – i cosiddetti “dati urbani”.
Il primo aspetto è, a mio avviso, intuitivo e facilmente comprensibile: mi riferisco a tutte quelle soluzioni hardware e software (es. intelligenza artificiale, dispositivi IoT, 5G) presenti all’interno dello spazio urbano che interagiscono con esso per il raggiungimento di obiettivi-chiave, quali una maggiore velocità ed efficienza nell’erogazione dei servizi pubblici, la sicurezza dei cittadini, il miglioramento dell’interazione con la Pubblica Amministrazione e così via.


Per “dati urbani” intendiamo invece le informazioni raccolte entro i confini della città, sia tramite la sensoristica pubblica (es. dispositivi IoT, sensori presenti sul manto stradale, ecc.) sia tramite devices propri dei residenti o dei turisti – utilizzati dagli stessi per interagire con l’infrastruttura cittadina – sia tramite ulteriori touchpoints installati sul territorio (es. videocamere CCTV e altri dispositivi di monitoraggio degli spazi pubblici o tecnologie che consentono la raccolta di dati all’interno della città).


Può trattarsi indifferentemente di dati personali ovvero di dati non personali, differenza da cui discende l’obbligo o meno di conformarsi alla normativa nazionale ed europea in materia di protezione dei dati personali.


Può inoltre trattarsi di dati pubblici ovvero di dati privati a seconda del soggetto che detiene la titolarità di tali informazioni, ossia la Pubblica Amministrazione ovvero soggetti privati quali società, associazioni, fondazioni.


A prescindere dalla natura e dalle caratteristiche dei dati urbani, tali informazioni sono necessarie ai fini dello sviluppo di qualsiasi iniziativa di riprogettazione urbana in ottica “smart”. Ciò che costituisce un tratto comune a tutti i modelli di sviluppo di città intelligenti è infatti la necessità di raccogliere, analizzare, classificare, processare, conservare e condividere le informazioni raccolte all’interno del contesto cittadino al fine di garantire un’organizzazione più efficiente dei servizi pubblici e il miglioramento della qualità della vita degli abitanti.
Il secondo elemento fondamentale e fondativo del concetto di città intelligente è quello di smartness.


Nel linguaggio comune il termine “smartness” viene associato a un oggetto reputato intelligente, veloce, intuitivo o facile da usare. Tale associazione è però riduttiva.


Il termine “smartness” indica la capacità di un bene o un servizio di performare correttamente attraverso una semplificazione delle attività ad esso collegate, di adattarsi alle esigenze del suo fruitore e di supportare quest’ultimo nell’adozione di decisioni razionali.


Gli elementi costitutivi della “smartness” sono dunque: (i) la semplificazione, (ii) la personalizzazione, (iii) il supporto ai processi di decision-making.


Tali tratti caratterizzanti ricorrono anche nel concetto di smartness riferita alla città.
La urban smartness presuppone la capacità dei progetti innovativi di semplificare le attività a carico di cittadini e imprese residenti in un dato territorio, la massimizzazione degli interessi di questi ultimi, la personalizzazione dei beni e dei servizi offerti dalla Pubblica Amministrazione attraverso una comprensione più profonda delle esigenze della collettività di riferimento, l’adozione di decisioni migliori attraverso una maggiore conoscenza dei vari portatori di interessi coinvolti.


Alla luce di tali premesse, spero appaia chiaro quanto le due dimensioni fondative della smart city – quella tecnologica e quella della smartness – siano entrambe incentrate sull’utilizzo e la condivisione dei dati urbani.


Le nuove tecnologie necessitano di grandi volumi di informazioni per funzionare correttamente. Si pensi ai dispositivi IoT o ai sistemi di IA, i quali sarebbero del tutto inutili e privi di valore se venissero separati dai dati che devono raccogliere o analizzare.
Per altro verso, anche il concetto di smartness presuppone la libera disponibilità e circolazione di informazioni facilmente trasmissibili e riutilizzabili all’interno del contesto urbano da parte di tutti gli stakeholders. In difetto, sarebbe impossibile semplificare e personalizzare i servizi offerti ai cittadini ovvero guidare i processi di decision making.


La circolazione delle informazioni, la condivisione delle stesse e il loro riutilizzo in seno alla città è dunque la pietra miliare di qualsiasi progetto di città intelligente.
Tuttavia, garantire l’accesso o la messa a disposizione di grandi volumi di dati può rappresentare una sfida tecnologica enorme per la PA a causa della scarsa interoperabilità dei sistemi tecnologici utilizzati e della mancanza di linee guida condivise tra questa e i partner tecnologici coinvolti.
Inoltre, la gestione di tale mole di dati richiede un’infrastruttura urbana potente, solida e sicura, capace di proteggere dette informazioni contro eventuali attacchi informatici. Com’è noto, la probabilità del verificarsi di tali minacce cresce con il numero di dispositivi “intelligenti” connessi all’interno della città e dunque deve essere tenuta in debita considerazione.
Infine, la mancanza di una normativa europea di riferimento dedicata al tema della condivisione e del riutilizzo del dato nella smart city pone un ulteriore ostacolo per l’avvio di simili iniziative, attesa la difficoltà di individuare un framework legislativo di riferimento per la definizione e la tutela delle situazioni giuridiche coinvolte.


A causa di questo vuoto normativo, è necessario rifarsi a disposizioni settoriali per definire un modello giuridico di condivisione del dato all’interno del contesto urbano smart.
Tra queste, la più rilevante è certamente rappresentata dal Regolamento UE/2022/868 (cd. Data Governance Act) che ha introdotto il modello del data intermediary o intermediario dei dati. Si definisce tale il soggetto che svolge attività di intermediazione nello scambio di informazioni, mettendo in relazione coloro che desiderano condividere o rendere disponibili i dati a propria disposizione (si tratti di dati personali ovvero non personali) e coloro che intendono utilizzarli.


Si tratta di una cornice normativa di nuovo conio che può offrire un riferimento per numerose iniziative di condivisione e riutilizzo del dato all’interno del contesto urbano.
Tuttavia, tale framework normativo non può essere ritenuto sufficiente di per sé.
Esso costituisce il punto di partenza per lo sviluppo di una data strategy più ampia e strutturata che tenga conto della natura dei dati urbani trattati, dei rischi sottesi a simili iniziative (alcuni dei quali sono già stati sopra menzionati) e degli interessi vantati dai diversi stakeholders, al fine di favorire un’iniziativa di riprogettazione urbana in ottica smart che sia davvero efficace.


E’ dunque necessario adottare un approccio votato alla “smartness by design” che, fin dalle fasi di progettazione, possa contenere i pericoli potenziali sottesi allo urban data sharing e allo urban data reuse dando vita a un modello giuridico e tecnologico affidabile, ripetibile su larga scala.

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