Il riutilizzo dei dati della ricerca scientifica nella Direttiva (UE) 2019/1024

di Sara Gobbato – PhD in diritto dell’UE, Avvocato del Foro di Milano, Of Counsel Team digital CRCLEX e Data Valley

Tratto da “Il Quotidiano Giuridico”, il quotidiano di informazione giuridica del gruppo Wolters Kluwer Italia e curato da Cedam, Utet Giuridica, Leggi d’Italia e Ipsoa.

 

Entro il 17 luglio 2021 gli Stati membri dovranno recepire la Direttiva (UE) 2019/1024 che apporta significative novità in tema di riutilizzo dei dati aperti del settore pubblico. Tra le novità di maggior interesse, l’art. 10 della Direttiva estende il campo del riutilizzo anche ai dati prodotti nell’ambito della ricerca finanziata con fondi pubblici, da mantenersi distinti rispetto agli “articoli scientifici”.

I dati saranno riutilizzabili a fini commerciali o non commerciali, in ambito transnazionale all’interno dell’UE, qualora siano prodotti nell’ambito di ricerche finanziate con fondi pubblici e siano resi disponibili attraverso banche dati gestite a livello istituzionale o su base tematica. Nel rispetto del principio “as open as possible, as closed as necessary”, nell’attuale fase di recepimento ciascuno Stato membro è chiamato a stilare le eccezioni alla regola generale dell’“open by default” prevista dall’art. 10, in considerazione in particolare delle esigenze di tutela dei dati personali e dei diritti di proprietà intellettuale di terzi.

La pandemia in atto ha drammaticamente confermato la centralità delle politiche pubbliche a sostegno della ricerca e della condivisione dei dati scientifici ai fini dell’individuazione di soluzioni efficaci nei confronti delle emergenze globali. Lo scenario ancora fosco in cui ci dibattiamo getta paradossalmente una luce nuova su una disposizione particolare della Direttiva (UE) 2019/1024 che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il prossimo 17 luglio: si tratta dell’art. 10 della citata Direttiva, il quale rende per la prima volta applicabile la disciplina del riutilizzo – armonizzata a livello UE – ai dati prodotti nell’ambito della ricerca scientifica finanziata con fondi pubblici.

Il riutilizzo dei dati della ricerca anteriormente alla Direttiva (UE) 2019/1024

Per comprendere le potenzialità dell’art. 10 in commento, occorre ricordare la situazione vigente nell’UE ad oggi in materia di riutilizzabilità dei dati della ricerca.

L’UE ha adottato una disciplina armonizzata sul riutilizzo dei dati aperti delle Pubbliche Amministrazioni con la Direttiva 2003/98/CE (nota anche come “Direttiva PSI” o “Public Service Information Directive”), la quale – tanto nella versione originaria quanto nella versione emendata dalla Direttiva 2013/37/UE – esclude i dati della ricerca scientifica dall’obbligo del riutilizzo. Tale esclusione era stata motivata dal legislatore UE del 2003-2013 dalla circostanza che i dati della ricerca risultavano in larga parte “dominio” dei diritti di proprietà intellettuale, difficilmente conciliabili con il principio “open by default”.

Anteriormente alla Direttiva (UE) 2019/1024, per l’effetto, l’UE non disponeva di regole armonizzate in tema di riutilizzo dei dati della ricerca scientifica. Ciascuno Stato membro restava quindi libero di adottare norme di legge applicabili al riguardo su “scala nazionale”, come ha fatto ad esempio la Francia con l’adozione del Plan national pour la science ouverte. Per gli Stati sprovvisti di simili previsioni normative, spettava a ciascun centro di ricerca – se non a ciascun ricercatore – la scelta di conformarsi ai principi nel corso del tempo formulati dalla comunità scientifica (e perciò qualificati come “Community Norms”), nel tentativo di incrementare la rintracciabilità e la condivisione dei dati. Fra tali principi spiccano i c.d. FAIR PRINCIPLES, in applicazione dei quali i ricercatori sono in grado di produrre dati che siano “Findable”, “Accesible”, “Interoperable” e “Reusable”. Va peraltro tenuto presente che i principi FAIR raccomandano di rendere note le condizioni per il riutilizzo dei dati, non obbligando invece i ricercatori a rendere disponibili gli stessi dati a chiunque senza limitazioni.

Le novità introdotte dalla Direttiva (UE) 2019/1024

Il carattere non vincolante dei principi FAIR ha quindi indotto finalmente il legislatore UE nel 2019 a formulare una disciplina di legge armonizzata in tema di riutilizzabilità dei dati della ricerca, allo scopo di liberarne le potenzialità nell’ambito del mercato interno UE. È così stato formulato l’art. 10 della Direttiva (UE) 2019/1024, che si compone di due paragrafi meglio analizzati di seguito.

Prima di entrare nel merito della norma, va tuttavia ricordato che la Direttiva (UE) 2019/1024 è un atto di c.d. armonizzazione minima, il quale lascia dunque a ciascuno Stato membro, in sede di trasposizione, la facoltà di adottare disposizioni più stringenti in tema di apertura e riutilizzo anche per ciò che attiene i dati della ricerca scientifica.

Tenendo ciò a mente, possiamo dunque addentrarci nella lettura della norma. L’art. 10 disciplina i “dati della ricerca” definiti come “documenti in formato digitale, diversi dalle pubblicazioni scientifiche, raccolti o prodotti nel corso della ricerca scientifica e utilizzati come elementi di prova nel processo di ricerca, o comunemente accettati nella comunità di ricerca come necessari per convalidare le conclusioni e i risultati della ricerca” (vd. art. 2, n. 9). In tale categoria rientrano, ad esempio, “le statistiche, i risultati di esperimenti, le misurazioni, le osservazioni risultanti dall’indagine sul campo, i risultati di indagini, le immagini e le registrazioni di interviste, oltre a metadati, specifiche e altri oggetti digitali” (cons. 27).

Art. 10, par. 1

In relazione ai dati della ricerca così definiti, l’art. 10 par. 1 richiede agli Stati membri di adottare “politiche nazionali e azioni pertinenti per rendere i dati della ricerca finanziata con fondi pubblici apertamente disponibili («politiche di accesso aperto») secondo il principio dell’apertura per impostazione predefinita e compatibili con i principi FAIR”. Tali politiche nazionali si applicheranno sia alle organizzazioni che svolgono attività di ricerca sia alle organizzazioni che finanziano la ricerca.

Come chiarito dal cons. 27, nel contesto della Direttiva “[l]’accesso aperto è inteso come la pratica di fornire accesso online ai risultati della ricerca a titolo gratuito per l’utente finale e senza limitazioni di utilizzo e riutilizzo oltre la possibilità di esigere il riconoscimento dell’autore”. Le politiche nazionali di accesso aperto saranno quindi volte ad assicurare non solo ai ricercatori ma anche “al grande pubblico l’accesso ai dati della ricerca quanto prima possibile nel processo di diffusione nonché a facilitarne l’utilizzo e il riutilizzo”.

Nell’implementazione del principio “open by default” nell’ambito delle politiche nazionali, ciascun Paese membro dovrà stilarne le eccezioni procedendo ad un apposito bilanciamento fra opposte esigenza di tutela secondo la massima “as open as possible, as closed as necessary”. Le eccezioni potranno corrispondere in particolare alle “preoccupazioni in materia di diritti di proprietà intellettuale, protezione dei dati personali e riservatezza, sicurezza e legittimi interessi commerciali”.

Art. 10, par. 2

L’art. 10, par. 2 definisce le condizioni cumulative in presenza delle quali i dati della ricerca saranno riutilizzabili per finalità commerciali e non commerciali:

(i) la norma richiede innanzitutto che i dati in questione non siano coperti da diritti di proprietà intellettuale di terzi (ai sensi dell’art. 1, par. 2 lett. c);

(ii) i dati devono inoltre essere il frutto di ricerche finanziate mediante fondi pubblici in tutto o in parte (cons. 28);

(iii) infine i dati devono essere stati “già resi pubblici attraverso una banca dati gestita a livello istituzionale o su base tematica”.

Anche in tal caso, nel delimitare il campo di applicazione del riutilizzo, l’art. 10, par. 2 consente agli Stati membri in sede di recepimento di definire le relative eccezioni in considerazione in particolare “degli interessi commerciali legittimi, delle attività di trasferimento di conoscenze e dei diritti di proprietà intellettuale preesistenti”.

Quanto alle “disposizioni procedimentali” sul riutilizzo, l’art. 10, par. 2 rimanda ai capi III e IV della Direttiva (UE) 2019/1024. Per l’effetto, in presenza delle suddette condizioni sostanziali prescritte dall’art. 10, par. 2, i dati della ricerca dovranno essere resi disponibili con i relativi metadati in formati machine-readable (art. 5), gratuitamente e senza costi aggiuntivi (art. 6, par. 6 e cons. 28). Il riutilizzo dovrà inoltre essere concesso sulla base di licenze standard (art. 8), quali ad esempio la Creative Commons CC-BY 4.0 che viene ritenuta adeguata per la tutela di “banche dati”.

Il riutilizzo dovrà inoltre essere concesso a condizioni non-discriminatorie per categorie comparabili di utilizzo, anche a livello transnazionale fra Paesi membri (art. 11), di modo che le relative licenze non potranno – quale regola generale – contenere esclusive (art. 12). In via eccezionale, tuttavia, l’art. 12, par. 2 consente di prevedere diritti esclusivi – temporalmente limitati e soggetti a periodica revisione – ove ciò risulti necessario “per l’erogazione di un servizio d’interesse pubblico”. Basandoci sulla prassi relativa ai SIEG (Servizi di Interesse Economico Generale), si potrebbe dunque ritenere ammissibile la previsione di diritti esclusivi ove ciò risulti effettivamente necessario e proporzionato (sotto il profilo economico e di recupero degli investimenti dedicati) per la realizzazione di attività di interesse generale che non sarebbero altrimenti sviluppabili dal mercato.

Punti chiave nel recepimento dell’art. 10

Questa breve panoramica dell’art. 10 – così denso di nozioni e rimandi – consente di mettere in evidenza alcuni snodi cruciali per l’efficace trasposizioni della norma nel contesto nazionale.

Il primo snodo attiene alla stessa nozione di “dati della ricerca” (da mantenersi distinti rispetto alle “pubblicazioni scientifiche”) ed alla riutilizzzabilità dei soli dati che, oltre a non essere coperti da diritti di proprietà intellettuale di terzi, siano già resi pubblici mediante banche dati gestite a livello istituzionale o su base tematica. Questo primo basilare tassello della norma sembra richiedere, dunque, la previsione (in sede di recepimento) di opportuni incentivi affinché i dati siano effettivamente resi disponibili in banche dati aperte.

Il secondo snodo attiene alla redazione e soprattutto alla successiva applicazione delle eccezioni al principio “open by default”. Se è vero che – almeno in diritto – le eccezioni agli obblighi generali previsti dalla Direttiva dovranno essere interpretate ed attuate in senso necessariamente restrittivo, spetta ai legislatori nazionali – nell’attuale fase di recepimento – stabilire nel merito l’equo bilanciamento fra le opposte esigenze di tutela, raggiungendo formulazioni il più possibili chiare in sostanziale recepimento della massima “as open as possible, as closed as necessary”.

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