Data Valley e il dialogo tra PMI e Big Tech per lo sviluppo di nuovi servizi smart: dalla software integration alla legal integration

Nel volume “Privacy e libero mercato digitale” curato da Luca Bolognini, il contributo di Carlo Rossi Chauvenet e Silvia Martinelli sulla nascita di Data Valley, le idee che lo animano e i prossimi passi.

L’utilizzo di dati e algoritmi in ambito industriale e nell’offerta di prodotti e servizi ha determinato un cambio di paradigma che ha investito sia le forme di produzione e di scambio, sia il prodotto stesso. Il prodotto smart, personalizzato e connesso, ha creato un ecosistema attorno al prodotto fisico di operatori coinvolti e servizi offerti al cliente finale.

Si moltiplicano così, in questi anni e in questo momento storico, i modelli di business basati sui dati, tutti fondati su nuove forme di utilizzo delle informazioni in essi raccolti. Al contempo, aumenta necessariamente l’interesse ad aver accesso a basi di dati ulteriori, per poter generare nuove correlazioni e nuovi servizi da proporre agli utenti finali, consumer o business o anche enti pubblici.

La condivisione del dato ed il suo riutilizzo in modo innovativo per la creazione di nuovi prodotti e servizi smart incontrano, tuttavia, alcuni ostacoli. In primo luogo, l’utilizzo del dato, ove personale o anche ove poi anonimizzato, fino alla sua anonimizzazione, richiede come noto e doveroso l’applicazione di tutti i principi, le cautele e le procedure previste dal nostro ordinamento per il trattamento dei dati personali. In secondo luogo, la condivisione del dato tra differenti entità, private o pubbliche, richiede accordi, partnership o la costruzione di nuove strutture giuridiche per la gestione della governance del dato e per la regolazione di tutte le potenziali problematiche che possano derivare dalla condivisione stessa. In particolare, dovranno essere stipulati accordi con riguardo alle possibilità e modalità di assunzione delle decisioni future, alla suddivisione dei rischi e alla predeterminazione delle responsabilità, nonché alla tutela dell’investimento effettuato.
Precondizione della condivisione stessa è, inoltre, l’incontro che la genera, divenendo fondamentale l’individuazione del partner desiderato ovvero: (i) società in possesso o in grado di acquisire i dataset richiesti; (ii) società che gestiscono l’interfaccia o il prodotto o il sensore che dialoga con l’utente o l’ambiente che si desidera raggiungere.
In terzo luogo, ma di nuovo precondizione fondamentale è l’interoperabilità tecnica tra software. Quest’ultima è, infatti, fondamentale per la comunicazione in tempo reale fra i sistemi, per la data quality, nonché per raggiungere il cliente finale stesso, accedendo all’interfaccia o al prodotto desiderati.

Per fare un esempio caro al territorio veneto, se un’azienda che produce trattori volesse trasformare il proprio prodotto in “smart”, non potrà limitarsi a studiare come integrare componenti (ruote, cambio, vernici, fari) provenienti da diverse aziende del comparto automotive italiane e straniere, né organizzare la produzione con sistemi “lean” per ridurre i tempi morti, ma dovrà selezionare i servizi di terze parti al fine di garantire la loro migliore integrazione all’interno del prodotto e la piena compatibilità dello stesso con le piattaforme maggiormente utilizzate. Solo così potrà, infatti, assicurarsi di offrire valore aggiunto all’utilizzatore.
Continuando nel nostro esempio, il prodotto che viene immesso nel mercato deve integrarsi con sistemi di intelligenza artificiale e natural language come Alexa di Amazon o Siri di Apple, o in alternativa dialogare per iscritto con l’utente attraverso sistemi di messaggistica, pensati per il dialogo tra persone fisiche e ora sviluppati anche per il dialogare tra macchine, quali quelli messi a disposizione da aziende come Whatsapp o Telegram. L’integrazione del prodotto con questi servizi potrebbe consentire di evitare all’utente di imparare ad utilizzare una nuova interfaccia e di dialogare con i sistemi interni del trattore, dall’acceleratore alle funzioni più avanzate di trattamento del suolo.

L’integrazione con servizi di geolocalizzazione (magari offerti da Google) potrebbe invece consentire di calcolare con precisione il perimetro della zona di utilizzo del trattore (magari grazie allo smartphone dell’operatore), mentre i dati potrebbero confluire nel sistema di gestione aziendale IBM già presente. I dati non sono immessi, ma direttamente acquisiti e salvati dallo stesso applicativo su server Amazon Web Services, con il quale l’azienda ha un account. La durata dell’intervento del trattore sul campo sarà determinata in funzione delle condizioni meteorologiche attuali, rilevate attraverso sensori Siemens, oltre che sulla scorta di previsioni meteorologiche offerte da weather.com, controllata di IBM, con la quale l’azienda ha stipulato un accordo e prevede dei pagamenti effettuati e monitorati attraverso PayPal.
Ove il produttore del trattore intenda effettivamente integrare, come abbiamo sopra visto, diversi servizi all’interno del proprio prodotto dovrà avere cura di selezionarli non solo in funzione delle caratteristiche, ma anche assicurarsi che si integrino perfettamente tra di loro e con i comandi del mezzo.

Questi applicativi sono in gergo dette “terze parti”, ovvero sistemi pubblici o privati che svolgono dei servizi ulteriori rispetto a quello per cui il prodotto è stato inizialmente concepitoutilizzando i dati acquisiti dal prodotto stesso. I servizi di “terze parti” sono cresciuti nel tempo, perdendo il loro carattere accessorio ed eventuale (la mappa inserita all’interno di un sito offerta da Google Maps) fino a diventare parte essenziale del servizio, pienamente integrati in esso (ad es. il servizio di geolocalizzazione di un device che consente di modulare l’offerta del servizio principale). Il servizio di terza parte è in realtà in alcuni casi sostitutivo dell’interfaccia tra l’azienda principale e i propri clienti.

L’esempio mostra il cambio di paradigma attuato dal “prodotto smart” in relazione alla produzione e fornitura di beni e servizi. La catena produttiva tradizionale subisce profonde trasformazioni. Non si tratta soltanto dell’integrazione della componente fisica e di quella software, bensì di nuovi modi di creazione di prodotti e servizi e di nuove modalità di raggiungere i clienti finali.
Abbiamo detto che la chiave del prodotto smart è l’integrazione: non solo tra i sensori ed il cuore hardware e software del prodotto, ma tra il prodotto ed i servizi di terze parti.
Condivisione e integrazione divengono, quindi, elementi strategici imprescindibili, abilitando nuovi modi per utilizzare risorse e, in particolare, informazioni, ed estrarne valore. I nuovi modelli di business e casi di successo presentano tutti queste caratteristiche.

Normalmente tale attività è curata da società di “software integration” che, sulla scorta delle esigenze del proprio cliente, scelgono gli applicativi più semplici (e, possibilmente più economici) per garantire queste funzionalità. La scelta è effettuata tipicamente in ragione delle specifiche del prodotto (elementi abilitanti) e, ove presente, delle condizioni del servizio al momento dell’integrazione. L’integrazione non è, tuttavia, solo tecnologica, ma comporta altresì la conclusione di contratti tra i soggetti coinvolti, che vengono spesso posti in secondo piano o trascurati.
Le condizioni legali relative all’utilizzo della tecnologia, le possibilità di modifica unilaterale, le garanzie offerte, la ripartizione delle responsabilità sono, invece, tutti elementi rilevanti che possono incidere in modo determinante sulla scelta del partner tecnologico e dovrebbero essere oggetto di specifica negoziazione. All’integrazione tecnica deve, quindi, affiancarsi l’“integrazione legale” delle soluzioni tecnologiche.

“Data Valley” — www.datavalley.it — è un progetto che è nato per rispondere a questa esigenza di condivisione e integrazione, valutando attentamente anche gli elementi contrattuali e di compliance, sia tra le PMI stesse, che tra queste e soggetti che normalmente sono per esse meno accessibili: le grandi multinazionali tecnologiche.
Intercettando queste esigenze, uno studio legale dedicato all’innovazione digitale (CRCLEX) e una società di comunicazione (Blum Comunicazione), a partire da maggio 2019 hanno dato vita ad un progetto “on the field” finalizzato a trasformare le Big Tech da meri fornitori di tecnologia a partner strategici, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche commerciale, consentendo la scalabilità internazionale dei prodotti e servizi pensati dalle PMI a livello locale.
Il primo passo di questo ambizioso progetto di riavvicinamento è stata l’organizzazione di 7 incontri con la partecipazione di esponenti di spicco dei maggiori player globali nell’ambito tecnologico tra cui IBM, Microsoft, Infocert, Paypal, Alibaba ed Amazon.

Il volume “Privacy e libero mercato digitale: convergenza tra regolazioni e tutele individuali nell’economia data-driven”, a cura di Luca Bolognini e edito da Giuffrè, può essere acquistato a questo link.